mercoledì 31 ottobre 2007

DI NUOVO CLIMA DA FAR WEST IN BENGALA OCCIDENTALE

Mamta Banerjee



L’intera regione di nuovo

in stato di Bandh (blocco
stradale)



Dopo il fallito attentato del 28 Ottobre ai danni di Mamta Banerjee (la leader del Trinamool Congress Party che da oltre un anno sta cavalcando la protesta contro le
requisizioni territoriali in West Bengal) l’intera regione si è trovata di nuovo ieri in stato di Bandh (blocco dei trasporti), in risposta ai disordini riesplosi negli ultimi giorni a Nandigram, Il bilancio degli ultimi scontri segnala un ennesimo decesso (Gangaram Das, 27enne, morto in ospedale dopo essere stato colpito da una pallottola) e sette feriti, tutti membri del BUPC (il Comitato formatosi a Nandigram in difesa delle terre), anch’essi colpiti da colpi di arma da fuoco durante gli scontri tra quadri del CPI-M e le squadre di “autodifesa” locali, senza alcun tentativo di intervento da parte delle forze dell’ordine “regolari”. Come in passati analoghi episodi Mamta Banerjee ha reiterato anche nell’odierna Conferenza Stampa le responsabilità dell’Amministrazione del West Bengala per il fatto di aver “deliberatamente” privato una zona così calda da mesi di forze di “sicurezza” degne di questo nome, di fatto incoraggiando l’escalation di violenza e sempre più autorizzando il libero regolamento di conti fra opposte fazioni.

La tensione si è di nuovo accesa a Nandigram dopo che negli scorsi giorni era ripresa più forte che mai la protesta a Singur, in seguito al giudizio espresso dalla Corte Suprema di Delhi in merito all’illegittimità di ricorrere alla motivazione del “pubblico interesse” per requisire terreni da destinare ad uso privato; e in ogni caso all’illegittimità di requisire “good agricultural land” (terre agricole e fertili), come fu nel caso di Singur.

Un interessante bilancio circa il “far west” che si è venuto a creare in West Bengala è disponibile sul sito CounterCurrents.org con il titolo “Special Economic Zones: Profits at Any Cost” (22.10.1007), in cui l’autore C.R.Bijoy ripercorre l’evoluzione delle SEZ dall’introduzione della cosiddetta New Econimic Policy” nei primi anni ’90 in India, contestualmente agli imperativi di crescita nel resto dell’Asia.

IMPORTANTE VERDETTO DELLA CORTE SUPREMA DELL’INDIA

Dichiarate illegittime le requisizioni di “terre agricole e fertili”

Si è riaccesa la protesta dei contadini a Singur, in seguito al giudizio espresso dalla Corte Suprema di Delhi (in data 22.10.2007) in merito all’illegittimità di ricorrere alla motivazione del “pubblico interesse” per requisire terreni da destinare ad uso privato; e in ogni caso all’illegittimità di requisire “good agricultural land” (terre agricole e fertili). Un deciso colpo per l’amministrazione “comunista” di Buddhadev Bhattacharya e più ancora per la privata Tata Motors che con tanta arroganza aveva escluso qualsiasi opzione alternativa rispetto a quelle (e così contestate) requisizioni.
E un segnale di forte incoraggiamento per il KJRC (Comitato di difesa delle terre agricole) il cui portavocd Becharam Manna ha già annunciato manifestazioni di pubblica richiesta al Governo del Bengala occidentale, per la restituzione delle aree in contenzioso.

Secondo la definizione della Corte Suprema dell’India può definirsi “good agricultutal Land” qualsiasi area che “di medio livello di produzione, rispetto all’area agricola in cui è situata”. E come sappiamo i terreni requisiti di Singur producevano fino all’anno scorso dai 3 ai 5 raccolti all’anno – ovvero erano eccezionalmente fertile, anche rispetto all’eccellente media del verdeggiante Bengala,

Il verdetto della Corte Suprema dell’India è stato pronunciato per un contenzioso che riguardava vaste aree agricole e fertili minacciate dal progetto di uno stabilimento di trattori, nella regione del Punjab. Ma secondo l’Avvocato Arunava Ghosh, che sta assistendo i contadini di Singur, tale verdetto non potrà non avere qualche influenza presso l’Alta Corte di Kolkata, nella causa riguardante le terre agricole di Singur.

lunedì 29 ottobre 2007

TATA STORY 1

100 Anni di edulcorata leggenda…

“Produciamo anche macchine… ” In India quella campagna pubblicitaria se la ricordano ancora.
Erano gli inizi del 3 millennio e dopo il successo del modello Indica la Tata Motors, ormai posizionata tra le prime industrie dell’auto in India, riteneva importante ricordare all’affezionata clientela che TATA era una conglomerata di ben 96 aziende e che il core business restava quello di sempre, quello in cui aveva creduto il capostipite, Jamshetji Tata, 100 anni prima: l’acciaio. La leggenda, per essere esatti, fa risalire la passione per l’acciaio ancora prima, anno di grazia 1867. Quando in visita a Manchester lo stesso Jamshetji ebbe occasione di udire Thomas Carlyle pronunciare la storica massima: “La nazione che si assicurerà il controllo della acciaio, avrà anche il controllo dell’oro”. Intuizione davvero profetica, come dimostra il nesso sempre più stretto tra finanza e acciaio, e in generale finanza e metallurgia.
Ha fatto sensazione, a fine gennaio scorso (tra l’altro in coincindenza con la trionfale pubblicizzazione chez nous dell’ottima performance Fiat) la notizia dell’ennesima prestigiosa acquisizione da parte di una maison indiana, questa volta la conglomerata Tata (e di nuovo, sulla scia della fusione Mittal-Arcelor) nel settore dell’acciaio: Tata steel che in serrata competizione con la brasiliana Corus, riesce ad assicurarsi l’anglo-olandese Corus, posizionandosi in questo modo (da XXima che era) al 5* posto tra I più grandi produttori di acciaio del mondo. Il valore simbolico di una simile piazzamento, per l’opinione pubblica di quell’India che quest’anno si è trovato a celebrare anche il 60imo dell’Indipendenza coloniale, è naturalmente rimbalzato dalla stampa indiana su quella internazionale – nonostante un calo in borsa dell’11% del titolo Tata Steel motivato, secondo gli analisti, dall’eccessiva esposizione finanziaria richiesta per l’acquisizione. A conti fatti quasi 13 miliardi di dollari: in assoluto la più ingente nella storia degli affari indiani.

Il nervosismo è rimasto ad aleggiare nel cielo delle Industrie tata anche dopo che, I primi di aprile, l’acquisizione è stata ratificata. Il prezzo dell’acciaio è nel frattempo salito a ulteriore convalida del costoso affare; ma circa il come finanziare l’ingente debito si sono aperte le danze – e le non poche speculazioni. 4 miliardi di dollari dovrebbero provenire da un’emissione di titoli indiana, al grosso provvederà una cordata di ben 7 banche. Ma che succederà ai 30 mila operai (e salari) europei, che rispetto alle sotto-paghe indiane rappresenteranno molto presto un costo eccessivo, in un simile contesto debitorio? Nel frattempo un’altra societ metallurgica indiana, Kumar Birla, in competizione con Vedanta, si è posizionata al top mondiale per la produzione di fogli di alluminio (da cui si ricavano le lattine per Pepsi, Coke & Co) dopo aver acquisito l’americana Novelis. Mentre un’altra Americana, Minnesota Steel, è finita pochi giorni fa nel paniere di Essar, altra acciaieria indiana. E non contento del primato raggiunto dopo la fusione con Arcelor, il super tycoon Lakshmi Mittal (indiano ma con residenza a Londra e tassazione off shore), sarebbe entrato in negoziati nientemeno che con il gigante coreano Posco. Come si vede un attivismo frenetico caratterizza in questa fase il comparto dell’acciaio – e il fatto che a guidare le danze ci siano tanti marchi indiani, molto spesso in diretta competizione fra di loro, si spiega col fatto che alla declinante richiesta cinese sta per seguire quella legata alla crescita indiana: strade, ponti, real estate, un intero sub-continente da costruire (o ricostruire) quasi completamente ex novo. Oltre all’ambizione dichiarata da parte dell’India di passare dall’attuale 7imo posto (con un output annuale di 44 milioni di tonnellate) alla seconda posizione nella produzione annuale dell’acciaio, entro I prossimi 10 anni.
E con ciò si spiega anche l’interesse da parte dei produttori occidentali, che venendo acquisiti da competitors indiani anche di minor profilo (come nel caso Tata vis a vis Corus) si assicurarano a loro volta garanzie di crescita ed espansione con in più la comodità di delegare al new boss la sgradevolezza di ridimensionamenti occupazionali e ristrutturazioni.

Insomma: il gioco era già duro prima, lo diventerà sempre di più nei prossimi anni e mesi. E Tata rappresenta in questo convulso quadro il caso forse più drammatico dell’irrevocabile degenerazione da modalità d’impresa diciamo “benevolente” (o “spirituale” come l’ha generosamente definito Danilo Taino in un’intervista a Ratan Tata, sul Corriere della Sera febbraio 2007) ad altre, decisamente più predatorie, come sta dando ripetutamente prova da qualche tempo. (vedi TATA STORY 2).

Peccato, perchè la Tata Story “ufficiale” era stata per almeno tre quarti di secolo piuttosto bella, una storia di cui davvero andare fieri. E su cui ovviamente il Tata web site, il poderoso Press Communication Department, nonchè il “Russi Modi Museo per l’Eccellenza” che la casa madre mantiene con meticolosa cura a Jamshedpur, continuano a ricamare in tutti I modi. Ma che non sarà mai più la stessa – proprio ora che non solo l’India, ma il mondo intero, ne avrebbe cosÏ bisogno.

di Daniela Bezzi (pubblicato su Notizie Internazionali N. 105 – maggio 2007)

TATA STORY 2


immagine >>link: http://www.bhopal.net/opinions/archives/2007/02/index.html




… o di coperta conflittualità?


Difficile immaginare una casata che nell’arco di 100 anni sia riuscita a mantenere invariato una pari reputazione di good business – nel doppio senso di alti profitti e Corporate Responsibility (o Responsabilità di Impresa). Difficile anche immaginare una conglomerata più ramificata e variamente posizionata dentro e fuori dell’India. Ben 93 diverse società, un fatturato equivalente al 2,9 del Pil indiano, una gamma infinita di produzioni e comparti. Tata & Sons in India è praticamente tutto, acciaio, telefonia, assicurazioni, energia, auto, servizi informatici, real estate, trasporti, camions, hotellerie, R&D, the e alimentari, belletti e orologi, aerie e yacht di lusso, auto e sempre più “servizi”, soprattutto finanza, per la gioia di 2,8 milioni di azionisti. Fuori dall’India Tata è una rete infinita di Joint venture, compartecipazioni, sussidiarietà e ottime relazioni (dal gabinetto di Gordon Brown in Inghilterra ai vari Bilateral Commerce and Business Groups, incluso il nostro sempre più fruttuoso India-Italy Commerce Group).
In che modo una tale e pervasiva operatività sia riuscita a perpetrare per un secolo esatto (visto che il centenario di Tata Steel si è festeggiato proprio quest’anno alla fine del mese di Agosto) una tale immagine di “capitalismo benevolente” o addirittura “spirituale” (come nell’entusiasmo si è sbilanciato a titolare il Corriere della Sera una rara intervista con Ratan Tata, pubblicata nel febbraio 2007) è sicuramente il prodotto di un’ottima “corporate communication” a sostegno di qualche indubbia buona azione. » comunque assodato che il 70% dei profitti Tata viene spalmato in varie iniziative di welfare o beneficienza a vario titolo (compresi omaggi agli amici, alle organizzazioni, ai giornalisti – e naturalmente agli attivisti da tenere amici, ecc.) che è un ottimo modo per ridurre le tasse facendo bella figura. E soprattutto (come ha avuto il candore di argomentare lo stesso Ratan Tata) è il miglior modo di “contenere il conflitto sociale”.

Di questa storia che si vuole solo gloriosa e “bella” è sempre esistita fino ad ora un’unica versione, soprattutto infiorata dal biografo ufficiale (tale Russi M. Lala). Con poche possibilità di verifica essendo l’immenso archivio conservato nei Caveaux del “Russi Modi Centre for Excellence” di Jamshedupur, ovvero considerato anch’esso “patrimonio” dei Tata - come del resto tutta la città, non a caso meglio nota come Tata Nagar, ovvero Tata City (la città ad amministrazione privata che i Tata fondarono nel 1907 in Jharkhand attorno alle acciaiere. E che abbiamo già raccontato nell’articolo "Tata Story 1” (consultare archivio a sinistra), rimandando I lettori all’infinità di siti ufficiali per maggiori dettagli.
Negli ultimi tempi però la Reputazione dei Tata si è gravemente incrinata, soprattutto in seguito al massacro dei 12 tribali di Kalinga Nagar (primi gennaio 2006) dove Tata Steel aveva previsto di raddoppiare il proprio output produttivo. E di nuovo la requisizione delle terre agricole di Singur ottenuta con la forza il 2 dicembre 2006, ha scosso e diviso l’opinione pubblica indiana – soprattutto per le conseguenze di disordini e violenza che da Singur a Nandigram ha messo a ferro e fuoco fino al mese scorso l’intera regione del Bengala, provocando uno scontro sociale comparabile solo a quello che negli anni ’70 vide la nascita del Naxalismo - ovvero la reazione armata, di ispirazione maoista.
Tra le varie contro-storie, la più recente e tra tutte più completa è redatta e diffusa dall’indiana ICJB (International campaign for Justice in Bhopal) con il titolo “Il vero volto dei Tata”. Ne stralciamo alcuni punti, rimandando per dettagli al sito www.bhopal.net/tataùrapsheet.html

1) complici della tragedia di Bhopal: l’inadeguatezza delle misure di sicurezza, nonostante I ripetuti allarmi degli operai, fu tra I maggiori capi d’accusa che causarono l’esplosione chimica del 2 dicembre 1984 e successivamente portarono all’arresto del dirigente della Union Carbide, Warren Anderson. Tra I pochissimi a condannare quell’arresto furono proprio all’epoca i vertici Tata. Da notare: buona parte delle apparecchiature di smaltimento erano state installate da Tata Consulting Engineers. Incredibilmente, e nel più totale disprezzo verso un movimento che da 23 anni pretende giustizia per quanti morirono asfissiati a migliaia quella notte e per le centinaia di migliaia che da tre generazioni sono vittime del disastro, Ratan Tata in persona (nell’influente ruolo di chairman del Forum ‘US-India Business’) sta di nuovo perorando il re-ingresso in India di Dow Chemical (che nel 2001 ha acquisito la Union Carbide e di conseguenza anche la responsabilità legale del caso): con tipica magnanimità Ratan Tata si è offerto di “prendersi cura” dello smaltimento dei residui tossici abbandonati dalla Union Carbide a Bhopal, in modo da chiudere l’annoso incidente e rendere così possibile un sostanzioso investimento di Dow Chemical - tra l’altro proprio in Bengala. Numerose manifestazioni di protesta sono state inscenate davanti all’Ambasciata Indiana di Londra. Amnesty International ha denunciato l’inopportunità dell’iniziativa;

2) una corporatocrazia? Nonostante la crescente opposizione (anche legale) i Tata persistono nel rivendicare la proprietà della città di Jamshedpur come cosa propria, requisita ‘naturalmente’ nel 1904 dal capostipite Jamshetji e tuttora priva di municipalità o governo eletto. Motivazione: “privatamente le cose funzionano così bene, perchè cambiare…”

3) gli affari con la Giunta militare birmana: persino Pepsi Cola è stata costretta ad uscirne qualche anno fa per la boycott campaign in occidente; ma i Tata non hanno avuto scrupolo nel firmare nel gennaio 2001 un accordo con la giunta militare di Myanmar per intensificare la cooperazione nel settore energetico. Accordo che prevede ‘crediti’per 20 milioni di dollari per migliorare la raffineria di Thanlyin in vista delle condutture che attraverso il Bangladesh permetterebbe al Governo indiano di ridurre la crescente emergenza energetica;

4) requisizioni, salute, impatto ambientale: vox populi fa risalire le prime estrazioni ferrose di Noamundi nel Jharkhand, da cui tuttora Tata Steel ricava ciò che poi lavora nell’acciaieria di Jamshedpur, ad una vera e propria occupazione di terre tribali e all’abbattimento delle foreste di Kosam da cui le tribù locali (Ho) ricavavano la lacca che era la loro unica attivitàoltre all’agricoltura. Privi di ogni altro sostentamento, ridotti alla fame gli adivasi (tribali) vennero quindi “forzati” a lavorare in miniera – in condizioni non tanto diverse da quelle attuali. Ben più gravi di allora sono sicuramente I livelli intollerabili di polluzione derivanti dall’intensificarsi del saccheggio (come ripetutamente denunciato dall’ottima rivista di ecologia Down To Earth).

Non minore l’emergenza creata dalle miniere di Cromo nelle aree di Sukhinda al confine con l’Orissa: il fiume Domsala e ben 30 corsi d’acqua che da esso derivano, risultano contaminati da altissime percentuali di hexavalent chromium (causa di malattie al tratto respiratorio, ulcere al setto nasale, spasmi bronchiali e polmonite). Altro disastro ambientale: quello del settembre 2003 in Gujarath, dove le ceneri di soda di Tata Chemicals in Mitahpur contribuirono al degrado dell’eccezionale biodiversità di oltre 10 km di costa, nel Marine National Park del Golfo di Kutch. E un altro insediamente chimico vicino a Hyderabad è comunemente definito “Inferno in terra” per le invivibili condizioni create da Rallis India, sussidiaria di Tata nel settore dei pesticidi;

5) violenza, massacri, diritti umani:
le popolazione della cittadina di Gua (sud Jharkhand) ricordano tuttora le violenze subite nel settembre 1980, per essersi opposte alla costruzione di un areodromo destinato esclusivamente agli “ospiti” o funzionari di Tata Steel – ma che avrebbe comportato la sparizione di parecchi villaggi nel circondario. La crescente tensione sfociò in una repressione che costò la vita di parecchie persone – e alcuni dei feriti vennero finiti a baionettate (!) addirittura dentro l’ospedale.
A Kalinga Nagar, nel Nord dell’Orissa, dove Tata Steel aveva progettato di raddoppiare il proprio output produttivo con un secondo impianto siderurgico, il massacro dei 12 tribali (2 gennaio 2006) ha provocato un coro di proteste e di denunce senza precedenti, dentro e fuori dell’India. L’episodio è anzi ormai considerato un punto di non ritorno nella situazione di tensione che attualmente caratterizza tutte le zone minerarie dell’India. E l’occupazione “per protesta” della National Highway 200 (la maggiore arteria di traffico commerciale dell’India, in quanto collega ad una media di 4000 camion al giorno la città di Mumbai al porto di Paradip, principale porto per l’export verso il resto dell’Asia) è proseguita per oltre 14 mesi. La resistenza tribale, sia a questo che ad altri progetti minerari, non accenna a spegnersi.
La fiorente economia agricola di una vasta estenzione agricola a soli 40 Km da Kolkata in località Singur, che dava da vivere a una popolazione di circa 6.500 famiglie (ovvero oltre 20 mila anime) non è riuscita invece a contrastare l’autoritaria requisizione delle terre che il 2 dicembre 2006 sono state ordinate per conto di Tata Motors dal governo del Bengala, nonostante I regolari certificati di proprietàdei molti proprietari (solo per il 50% d’accordo per la cessione) e l’impossibilità di indennizzare le migliaia di bargadars (ovvero mezzadri) che vi lavoravano. Motivazione delle requisizioni, impugnate con il coloniale Land Acquisition Act (1894): la regione ha bisogno più di industrie che di produzione agricola e collaterali attività. Impianti cui le terre verranno destinate: quelli per la fabbricazione della famosa low cost car, in compartecipazione sia tecnica che distributiva con Fiat. (Ne riferiamo in particolare nell’Art. “Il costo di quella low cost”).

La più disperante resistenza (ma sarebbe meglio definirla processo di estinzione) riguarda infine le poverissime regioni del Bastar, in Chattisgarh, un vasto territorio da millenni popolato da etnie antichissime di aborigeni (per lo più Gond) sempre più schiacciati letteralmente tra due fuochi: da una parte le sempre più agguerrite milizie naxalite (e risale al 15 marzo di quest’anno il ricordo delle decine di poliziotti uccisi durante un’operazione “dimostrativa”), dall’altra le milizie del cosiddetto Salwa Judum (che significa “marcia della pace”), molto probabilmente sponsorizzate dalla stessa Tata Steel - o così si ritiene localmente. Le testimonianze di coloro che hanno potuto visitare questi luoghi documentano l’atroce disumanitàdei campi cosiddetti “di rifugio” (o piuttosto “di concentramento”) in cui gli abitanti dei villaggi sono stati costretti a riparare, in fuga dai loro villaggi dati alle fiamme, o resi impraticabili per l’escalation del conflitto ambientale.

6) relazioni sindacali:
Gli inizi - Ancora poco documentate (ma oggetto di crescente interesse e ricerca) le condizioni del lavoro minerario durante i primi anni di attivitàdi TISCO (Tata Iron e Steel Company) nei primi anni del secolo scorso. In totale contrasto con le edulcorate versioni diffuse dalla vasta pubblicistica TATA, la memoria prevalentemente orale di quei territori “racconta” la storia di una lotta durissima contro le condizioni di lavoro che un Management “di ferro” (per lo più Parsi ed Europeo) riuscì ad imporre a popolazioni aborigene inizialmente e fieramente “riluttanti” a fare propri ritmi e modalitàdi lavoro nelle viscere delle loro terre (da essi venerate addirittura come Terra Madre, fonte di Vita, Fertilità).
I suicidi - Subito dopo aver assunto le redini del “business di famiglia” nel 1991, Ratan Tata adottò una politica di drastico ridimensionare per parecchie aziende del Gruppo. Clamoroso il caso di alcuni operai che nel 2003 si cosparsero di kerosene e si diedero fuoco per protesta.
Quando nel 1980 il costo dei terreni cominciò a crescere nel centro di Mumbai, le piccole officine tessili impossibilitate ad investire nella propria modernizzazione vennero persuase a vendere I terreni su cui sorgevano. Lo stesso fece Tata, allora ancora proprietaria della Swadeshi Mills – una delle aziende tessili più antiche di Mumbai. Ma a prezzi così bassi che in effetti determinarono il ribasso generale di tutta l’area, a grave scapito delle officine più piccole. Successivamente si venne a scoprire che anche questa era stata una precisa strategia, per facilitare l’accapparramento di vaste zone centralissime (e come si sarebbe poi visto, immenso valore commerciale) da parte di altri “soggetti economici” per la maggior parte “affiliati” alla Tata.
Condizioni occupazionali – Contrariamente alla leggenda che sottolinea le superiori condizioni di impiego in “casa Tata”, il numero di operai impiegati da Tata Steel si è letteralmente dimezzato nell’ultimo decennio: da 78.000 che erano nel 1994, il numero era giàsceso a 65.000 nel 1997 e nel 2002 altri 15 mila posti di lavoro erano stati eliminati, portando infine a 38.000 il totale degli operai “regolarmente impiegati” nel 2006. Tra questi più di 25 mila hanno ricevuto incentivi al pre-pensionamento che l’Azienda descrive come “volontari” ma che in effetti (secondo molte testimonianze) sarebbero il prodotto di un classico mobbing.
Relazioni sindacali – Nel 1989, gli operai organizzati nel sindacato nel Telco Kamgar Sanghatana (alla fabbrica della Telco di Pune) proclamarono uno sciopero per ottenere degli aumenti salariali. Per romperne l’unità il management Tata offrì un lieve aumento agli operai del Sindacato rivale, diffondendo al tempo stesso minacce severissime per chiunque osasse scioperare. Ciò non impedì, nel settembre 1989, lo sciopero a tempo indeterminato di ben 3000 lavoratori. Man mano che lo sciopero proseguiva e nessun negoziato sembrava in grado di scalfire l’unità operaia, l’amministrazione locale cominciò a ricevere pressioni di “intervento” da parte dei Tata e di altri grandi industriali. La crisi sfociò quindi (nella notte del 29 settembre 1989) nella cosiddetta e tuttora famosa Operazione Crackdown: un’azione militare in piena regola, di notte, con l’ausilio delle forze di polizia delle cittàdi Pune, che si concluse con l’incarcerazione di centinaia di scioperanti. Per portarli via tutti (con la forza) furono necessari ben 80 autobus!
Cadaveri (non) eccellenti – Abdul Bari e V.G.Gopal erano due sindacalisti e vennero uccisi (ufficialmente da alcuni sindacalisti di una formazione rivale alla loro) per aver rifiutato i termini di una certa vertenza contro la Tata. In entrambi i casi (mai realmente indagati) “vox populi” parla di inquietanti responsabilità da parte della Direzione Tata nell’istigare gli assassini.
7) capitalismo spirituale vs resistenza territoriale nel: - 1996: nel caso della resistenza dei tribali del distretto di Rayagada in Orissa, contro un progetto minerario che avrebbe trivellato il sacro monte Baphlimali per estrarne Bauxite. La vicenda culminò nel 2000 con l’uccisione di tre giovani durante una pacifica dimostrazione di protesta, in difesa del sito prescelto per la miniera.
- 2000: quando i Tata furono costretti ad abbandonare uno dei tanti progetti di siderurgia nella città costiera di Gobalpur. A fermarli fu la massiccia protesta di oltre 20 mila persone che erano state espulse con la forza dalle loro terre per fare spazio agli impianti. Anche in questo caso si verificarono scontri di polizia con spargimento di sangue e parecchi feriti. In particolare nell’agosto del 1997 la polizia aprì il fuoco contro un rally di protesta a Sindhigaon. Due donne persero la vita durante I tumulti.
- Alla fine degli anni ’90, quando la protesta di circa 120 mila pescatori costrinse i Tata ad abbandonare il progetto di convertire vaste porzioni del Lago Chilika in un sito per l’allevamento intensivo di pesce (progetto che avrebbe tra l’altro previsto il coinvolgimento di numerosi “partners” internazionali).

di Daniela Bezzi (pubblicato su Notizie Internazionali N. 105 – maggio 207)

Fonti: Amnesty International, FIAN Report, Nostromo.org, Students from Bhopal.org

sabato 27 ottobre 2007

Medha Patkar è ripartita per l'India...

Speriamo di rivederla presto

L'attivista indiana Medha Patkar che dai primi di dicembre 2006 è stata testimone delle requisizioni autoritarie nelle campagne del Bengala occidentale e leader, voce, corpo (più volte malmenata e arrestata) della protesta contadina, è stata di recente in Italia per documentare la situazione di permanente scontro sociale in quell'area. E per informarce che nonostante la protesta permanga vivissima, la produzione della 'macchinetta dei poveracci' (come l'hanno definita ai piani alti della Fiat) è proseguita. Il prototipo (come è già stato annunciato con grande euforia anche sulla nostra stampa) verrà presentato in gennaio al Motor Show di New Delhi. Medha Patkar ha sfilato con le centinaia di migliaia che marciavano per le strade di Roma, per la grande manifestazione del 20 ottobre e verso la fine, di fronte al mare di volti e bandire che nonostante il freddo riempievano Piazza San Giovanni, ha riscaldato tutti quanti con un tonante intervento che non aveva bisogno di traduzione, che risuonava dell'urgenza e del quotidiano abuso che per l'India hanno parole come 'neo-liberismo', 'profitti' e 'precarietà'.
Medha Patkar è ripartita due giorni fa (25.10.2007). Stanchissima dopo una settimana intensa di incontri e consultazioni.
Ansiosa di ricongiungersi con le troppe situazione 'calde' nel suo
Grande Paese. Incerta circa i risultati conseguiti durante la sua
permanenza qui. E la sensazione, anche per noi che l'abbiamo seguita da
vicino, è che siamo riusciti a riportare 'a galla' la
questione-Singur... ma solo a galla. E i marosi sono alti. In parte
perchè è una questione lontana; in parte perchè nessuno ha voglia di essere una 'voce fuori dal coro'... E il Coro è da mesi Pro-MammaFiat e Grazie-Bravo-Marchionne...
Sfugge la relazione fra crescente (nel caso della low.-cost-car irresponsabile) pauperizzazione di laggiù con quella di quaggiù. Sfugge la relazione tra gli ottimi profitti dichiarati e tale pauperizzazione...
E il pericolo è che tutto
quanto riaffondi ben presto nel dimenticatoio, se non ci si
lavora sopra con costanza e spirito di 'resilienza'. Quella
'resilienza' ricordata pochi giorni fa dall'intervento di Alex
Zanotelli, in occasione dell'Inaugurazione del 'Centro di
Documentazione sui Conflitti Ambientali' appena aperto a Roma al Bio Parco di Villa Borghese, a cura
dell'Org ASUD.

Qui a fianco vari materiali di documentazione essenziale. Ne seguiranno
altri. L'impegno minimo che abbiamo preso con Medha Patkar è di aggiornare
questi materiali costantemente. I cittadini italiani, gli utenti e soprattutto gli
azionisti Fiat hanno il diritto di essere informati circa le
implicazioni (non tutte e solo 'luminose') della 'promettente'
partnership con Tata Motors in India.

Per esempio: un recente studio ha rilevato l'alto "valore inquinante"
di quella macchinetta low-cost, con motori e dispositivo di alimentazione
(courtesy by Fiat) che sarebbero inaccettabili da noi... Ve lo
proporremo presto, tradotto nelle sue parti essenziali. Per il momento
attendiamo vostri commenti & stay in touch...

Dichiarazione di solidarietà

Dichiarazione di Solidarieta' dei Movimenti italiani
per una resistenza condivisa
tra India e Italia contro l’aggressione neoliberista

Noi sottoscritti, organizzazioni ed individui, rappresentanti di movimenti sociali, sindacati e organizzazioni di cooperazione, vogliamo qui esprimere il nostro sostegno e la nostra solidarietà
con le battaglie e la resistenza dei popoli in India.

Siamo consapevoli degli abusi e della repressione che contadini, pescatori e lavoratori indiani stanno subendo nel loro paese per difendere le loro risorse contro l’accapparramento delle multinanazionali, spesso in collusione con i poteri statali.

La lotta di Singur, che da mesi vede contadini (sia proprietari che lavoranti) uniti insieme ai piccoli commercianti ed artigiani contro la requisizione forzata di 400 ettari di terreni agricoli e fertilissimi, è un episodio quanto mai significativo. Ed è triste assistere alla nascita della famosa “low cost car”, prodotto (tra gli altri) della Joint Venture TATA-FIAT, in un tale contesto di brutalità, illegalità, false promesse di indennità - invece di regolari e democratici processi di consultazione con coloro che in quelle terre vivono e lavorano da sempre. Significativo il fatto che il 40% dei proprietari abbia rifiutato le indennità in danaro offerte – ritenendo la propria terra (e terra fertile, magnificamente lavorata, terra che produceva dai 3 ai 5 raccolti all’anno) più preziosa di qualsiasi somma. Vergonognoso anche il fatto che un altro 40% sia stato costretto ad accettare indennità inferiori al reale prezzo di mercato – e costretto con la minaccia e con l’intimidazione, con l’ausilio della polizia, con l’impiego della peggior manovalanza incaricata di recintare quei terreni quando ancora erano in corso le consultazioni.

Esprimiamo rispetto e ammirazione per la popolazione, in particolare per le donne di Singur, che nonostante i tanti episodi di violenza e abuso, nonostante le centinaia di arresti e di fermi, nonostante le denunce prive di alcun fondamento, hanno continuato ad opporsi. Esprimiamo costernazione nell’apprendere che la nostra prima industria, la FIAT, lungi dal sottrarsi da questo stile di impresa “d’assalto”, lungi dal dissuadere la potente partner Tata Motors (con la quale è in Joint Venture su una molteplicità di obiettivi) dall’occupare terreni agricoli così fertili e produttivi e situare quel progetto industriale in aree non coltivate (e quindi non contestate) ha preferito ignorare la questione, in tal modo smentendo quegli impegni di Responsabilità Sociale ed Ambientale ufficialmente presi con la propria comunità di azionisti, utenti e lavoratori (come chiaramente riportato nel sito web). E con pari costernazione prendiamo atto dello “stile di governo” dell’Amministrazione di “sinistra” dello Stato del Bengala occidentale, così poco interessato al futuro della propria popolazione – ma così pronto a concedere ogni genere di facilitazione alle corporazioni, in vista di maggiori investimenti. Sappiamo bene, poichè questo stiamo sperimentando anche nel nostro paese, che non sempre gli investimenti su scala globale sono garanzia di maggior impiego e migliori standard di qualità e di vita – ed anzi, a tutti i livelli e settori della nostra economia, ciò è causa di crescente insicurezza e precarietà.

Per tutte queste ragioni esprimiamo il nostro pieno sostegno per la lotta di Singur e per i movimenti sociali attivi su tanti altri fronti di resistenza in India. In particolare raccomandiamo che:
Sia promosso un processo di dialogo con il Comitato che si oppone alla requisizione territoriali e che venga rispettata la volontà di coloro che non intendono cedere le loro terre a Singur;
Si promuova la più ampia ed efficace alleanza all’interno dell’India e dell’Italia e tra movimenti e organizzazioni di entrambi i Paesi, per contrastare quegli investimenti che violano la democrazia e i diritti umani e che minano l’autonomia economica degli individui e delle comunità;
Tata Motors trasferisca altrove i suoi impianti di produzione per la “low cost car” o in caso contrario, che Fiat condivida le responsabilità (insieme ai profitti) dell’impatto sociale ed ambientale che una tale e promettente partnership d’affari comporta.

Ci impegniamo quindi a promuovere un’ampia alleanza e una campagna India-Italia, con l’obiettivo di disseminare e scambiare informazioni ed opinioni, di monitorare costantemente il verificarsi di incidenti e problematiche analoghe a quelle di Singur, e con il progetto di individuare nuove e migliori strategie di resistenza e opposizione.

Se sei d'accordo con questo appello fallo circolare.
Quando hai totalizzato 100 firme (nome, cognome ed eventuale affiliazione) invialo all'indirizzo mail nosingur@yahoo.it

Lettera aperta di Medha Patkar...

La mia scomoda verità

Lettera aperta di Medha Patkar alla città di Torino

Care amiche e cari amici, gentili cittadine e cittadini, onorevoli imprenditori e autorità,

Cinque anni fa, in questo stesso periodo dell’anno, una delegazione del Narmada Bachao Andolan, (il Movimento di Resistenza contro il mega progetto di dighe sul fiume Narmada) veniva ricevuto con grande onore dalla vostra ospitale città. Tra essi, la scrittrice Arundhati Roy insieme a vari attivisti e film makers che nel corso degli anni hanno seguito e documentato questa straordinaria esperienza di resistenza. In quel momento ero molto impegnata, come ogni anno subito dopo i monsoni, con le sommersioni che vedevano in pericolo un gran numero di villaggi nelle aree vicine alla diga - e non mi fu possibile essere con loro. Ma l’eco della solidarietà e del sostegno che avete avuto modo di esprimere alla nostra lotta, è arrivato fino in India.

Cinque anni dopo, la diga Sardar Sarovar ha raggiunto quota 122 metri. E poiche non c’è terra disponibile per mantenere l’impossibile promessa della “nuova terra in cambio della terra requisita” i lavori si sono interrotti (grazie al cielo) di nuovo. Ma la gente non ha smesso di lottare per costringere il governo a cancellare una volta per tutte il progetto. Alla data attuale, non meno di 200 mila persone potrebbero essere salvate.

Ma la ragione per la quale ho deciso di scrivervi questa lettera oggi è mettervi al corrente circa la terribile ingiustizia che ha colpito migliaia di contadini (in parte proprietari, nella maggior parte semplici lavoranti) che una volta dipendevano dalle terre più fertili che possiate immaginare, nel Bengala Occidentale. Ebbene: quelle terre sono state cancellate per far posto a un progetto di industrializzazione che (mi hanno detto) qui in Italia Ë stato descritto come esempio di “nuovo e visionario coraggio” del Ministro di quell’area, Bhuddadeb Bhattacharjee – ma che in effetti ha registrato un enorme costo umano, ambientale e sociale, per la gente che in quella regione viveva da sempre.

Mi riferisco all’area di Singur, a ca 40 km dalla città di Kolkata: dove non meno di 22 mila persone sono state costrette a sloggiare dalle loro case e terre per far spazio agli impianti in cui TATA Motors produrrà la sua famosa “low cost car”. In nome dello Sviluppo Industriale, un’area di 400 ettari dieci volte più estesa dello Stato del Vaticano e straordinariamente produttiva (dai 3 ai 5 diversi raccolti all’anno) è stata requisita con la forza.
I contadini si sono opposti dal momento stesso in cui il progetto è stato annunciato, nel mese di maggio 2006. Ma la loro voce è stata ignorata. Si sono opposti di nuovo in luglio e in Settembre, e durante quegli scontri un giovane ha perso la vita. Hanno provato di nuovo a resistere anche il 2 dicembre – ma non sono riusciti a contenere la forza militare di 600 poliziotti e 1500 “agenti” reclutati apposta per recintare quelle terre nel minor tempo possibile contro la loro volontà, e sebbene una buona metà delle terre non fossero ancora state cedute poiche era in corso il negoziato con i proprietari. In quei giorni, molte donne vennero umiliate e molestate, ingiustamente accusate dei più assurdi reati da parte della forza pubblica. Io stessa, insieme ad altri attivisti sociali, sono stata fermata, malmenata e arrestata per ben tre volte in una sola settimana - e sia a me che ad altri attivisti impegnati sul fronte dei Diritti Umani è stato negato il diritto di visitare l’area.

Da quel giorno Singur è stato un campo di battaglia, teatro di una serie di episodi di sangue, violenza e abusi. Durante i mesi di febbraio e marzo la polizia ha più volte picchiato a colpi di lathi (la micidiale canna di bamb_) chiunque osasse far sentire la propria voce. Il momento più cupo è stato lo stupro e poi l’uccisione di una ragazza, Tapasi Mallich, rea di avere guidato un dharna (seduta di protesta nonviolenta) nel suo villaggio. Molte altre morti, per assassinio o per suicidio, sono seguite dopo la sua. L’ultimo episodio è di poche settimane fa: un contadino che, rimasto senza la terra di cui viveva, si è impiccato i primi di settembre, per disperazione.

Tutto ciò non ha impedito a TATA Motors di proseguire nella costruzione del suo stabilimento e il Governo del West Bengala ha ripetutamente dichiarato il progetto “NON negoziabile” in considerazione degli“impegni” già presi e firmati con numerosi Investitori Esteri, soprattutto con l’Italia.

La lotta è continuata per tutti questi mesi: non meno di mille famiglie, in parte piccoli proprietari, la maggior parte bargadars (cioè mezzadri, semplici lavoranti) che da generazioni dipendono dalla coltivazione di queste terre e che non si arrendono all’idea di perdere insieme ad esse l’unica fonte di sostentamento. Quanto agli stabilimenti TATA Motors: avrebbero potuto essere destinati a terre NON agricole, evitando la distruzione di una prospera economia e delle comunità che da essa dipendevano. Ma la speculazione finanziaria e immobiliare non sarebbe stata altrettanto rapida e profittevole.

E’ questo il motore che spinge tanti casi di requisizione territoriale (e sfollamenti ambientali) nell’India di oggi. Su questo infuria il dibattito che divide il mio paese circa la sempre più stretta collusione tra il cosiddetto Corporate Sector e la Politica. Di questo vorrei foste informati. Le stragi che si sono poi verificate a Nandigram (nel marzo scorso, durante gli scontri scoppiati in opposizione a un grosso progetto di insediamento petrolchimico a beneficio dell’indonesiana Salim) hanno finalmente bloccato, almeno per un po’, qualsiasi progetto di SEZ (Special Economic Zone) in Bengala. Ma non a Singur, che non Ë mai stata neppure dichiarata SEZ. Singur è semplicemente passata di mano, ridotta a feudo della famiglia TATA, a ingranaggio propulsore tra gli altri dell’alleanza TATA-FIAT.

E questo è il motivo che mi spinge a scrivervi questa lettera, oggi. Negli stessi mesi in cui noi si viveva questo sanguinoso conflitto sociale, il vostro paese spediva in India la più impressionante delegazione commerciale che mai si sia vista in 60 anni di storia post-coloniale: non meno di 450 tra uomini d’affari, banchieri, managers, delegati a vario titolo, giornalisti, accademici e naturalmente politici ai massimi livelli, hanno in pochi giorni toccato le nostre maggiori capitali con l’obiettivo di raddoppiare il volume delle transazione tra Italia e India nel più breve tempo possibile. “Le condizioni di ingresso sono favorevolissime, considerato il modesto costo dei terreni e le attraenti esenzioni fiscali” ha euforicamente dichiarato un rappresentante della vostra Confindustria al quotidiano indiano “Financial Express”.

Particolarmente triste è stato assistere al totale silenzio della vostra stampa e della FIAT, su pi_ fronti impegnata con TATA Motors e “partner” a tutto campo, sia tecnologico sia di know how, anche sul fronte della commercializzazione su mercati terzi e quindi dei profitti “globali” su questo progetto di “low cost car”. Noi, popoli e movimenti indiani, ci opponiamo a questo stile neo-coloniale di “partenariato” e ci domandiamo come possa succedere che una nazione così civilizzata e ricca di cultura come l’Italia possa associarsi a un simile e sistematico furto di terre, violento e brutale, contrario a qualsiasi nozione di Diritto Umano, e in totale contrasto con qualsiasi nozione di sostenibilità e di rispetto per l’ambiente. Ci chiediamo anche come possa essere successo che coloro che erano al corrente della situazione (i vostri diplomatici in India, i vari Funzionari e Ministri che hanno preparato la Missione Prodi in India) possano essere rimasti cosÏ indifferenti alle notizie degli scontri, benchè fossero sotto gli occhi di tutti.

Mi dicono che la città di Torino, e proprio negli ex impianti industriali del Lingotto, ha ospitato esattamente un anno fa (ed ospiterà di nuovo il prossimo anno) la più grande e magnifica celebrazione dei valori economici e culturali di “Terra Madre”. E non posso fare a meno di pensare che, forse, anche una piccola delegazione dalle campagne di Singur avrebbe potuto essere tra i vostri ospiti della prossima edizione, se quei 400 ettari di terra fertile e amorosamente coltivati non fossero stati distrutti con tutti i loro frutti. Mai più lo sviluppo industriale riuscirà a imporsi nel nostro paese a spese dello sviluppo agricolo raggiunto dai nostri contadini nell’arco di anni di costante sforzo! Come può un Governo italiano che si definisce di Centro-Sinistra, ritenersi “Partner” di un simile progetto di distruzione, di una simile “produzione” (invece che diminuzione) di povertà? E’ questo il “partneriato economico” che l’Europa, l’Italia, il vostro On. Primo Ministro Romano Prodi hanno in mente?

Mi appello a voi e al vostro Parlamento affinche il conflitto sociale esploso nelle aree di Singur riceva d’ora in poi la massima considerazione, a maggior ragione dopo che la stessa Alta Corte di Kolkata ha recentemente rilevato l’illegalità di quelle requisizioni; nonche le condizioni di assoluta convenienza offerte a TATA Motors, a fronte delle perdite sofferte da un’intera collettività. A nome di tutti coloro che stanno soffrendo per l’iniquità di quelle requisizioni, mi auguro di udire almeno UNA voce di protesta, proveniente dall’Italia, contro questa volgare ingiustizia che si sta perpetuando a spese del nostro settore agricolo e delle comunità rurali, in Bengala occidentale e altrove.


Torino, 22 ottobre 2007

Il costo di quella Low-Cost car

Informativa sull’insediamento TATA Motors a Singur (West Bengala) nel quadro della partnership TATA/Fiat


2 dicembre 2006 e giorni che seguono in località Singur, 40 km da Kolkata:

1.
In quest’area nota per la sua fertilissima agricoltura, frutto di una radicale quanto lodata riforma agricola (la ridistribuzione delle terre successiva ai ‘moti contadini’ degli anni ’70, vanto dell’amministrazione comunista del Bengala occidentale) scoppia la sommossa. Moltissimi i feriti e attivisti in stato di fermo. In prigione finisce anche Medha Patkar.
Oggetto del contenzioso 1000 acri di terreno, circa 400 ettari in plotti di varie dimensioni, che fino a ieri, a una media dai 3 ai 5 raccolti all’anno, rappresentavano una fiorente agricoltura.

Ma è proprio su quei terreni che TATA Motors ha deciso di insediare il suo stabilimento (e annessa cittadella per l’indotto, i servizi, il volano dei consumi) da destinare all’attesissima auto low-cost, la super-utilitaria annunciata da anni.
I contadini avevano già espresso decisa opposizione nei mesi precedenti: la sicurezza dei campi, un relativo benessere, pochissima voglia di diventare operai, queste le loro ottime argomentazioni. Oltre al fatto che solo una minoranza possiede regolari “titoli” di proprietà, la maggioranza lavora in quei campi da due, tre generazioni come bargadar, ovvero in condizioni di mezzadria.

Le prime manifestazioni risalgono alla metà di maggio 2006. In particolare il 25.9.2006 la protesta era stata massiccia, con scontri di polizia, numerosi feriti e un morto – grazie al quale (!) il caso Singur aveva goduto di un minimo di copertura a livello internazionale.

2.
Guidano la protesta alcune formidabili figure di donne. Nell’arco dell’opposizione parlamentare Mamta Banerjee, leader del Trinamool Congress Party, figura molto amata in India per l’inusuale frugalità dello stile di vita e per l’irreprensibilità con cui rappresenta la vocazione grass root del suo partito (che è infatti la traduzione letterale della parola Trinamool). Come simbolo una pianticella: per esprimere la particolare vicinanza ai valori della terra. E in totale indipendenza rispetto a qualsiasi formazione politica, anche Medha Patkar, infaticabile leader di tante resistenze territoriali e ambientali: da quella ultraventennale contro il colossale progetto di dighe lungo il corso del Fiume Narmada, a quella contro il progetto di interconnettere i maggiori fiumi dell’India – a quella sulla crescente povertà urbana e più di recente contro le cosiddette SEZ (Special Economic Zones).

3.
Sebbene dunque osteggiata, sebbene a TATA Motors sia stata suggerita nonchè materialmente offerta l’opzione di occupare altri terreni NON agricoli (o NON così intensivamente coltivati) l’operazione di recinzione dell’area viene imposta il 2 dicembre con la forza (600 poliziotti, 1500 manovali) e con gli esiti sopra descritti. E infine completata, in un clima sempre più incandescente, il 6 dicembre.
Una grande dimostrazione di protesta sigla lo stesso giorno la fine di un mito, per la storia dell’India e per l’area internazionale della sinistra: quello del (retoricamente detto) “Partito Comunista più ampio e democraticamente eletto al mondo”.

Riconoscibile tra il Quarto Stato che sfila per le strade per niente shining di Calcutta anche qualche faccia di anziano leader naxalita. Tra essi Kanu Sanyal, che capeggiò la rivolta di Naxalbari 40 anni prima. La storia evidentemente si ripete, e si ripete doppiamente: in quanto replay di quegli stessi moti di 40 anni prima, come nel replay di inflessibilità e violenza di cui quella stessa Private Enterprise (TATA & Sons) è stata protagonista solo pochi mesi prima. Sono infatti ancora molto vivi nel ricordo di tutti I morti di Kalinga Nagar, nord dell’Orissa (primi di gennaio 2006): dove la stessa TATA, nel suo comparto acciaio (TATA Steel), era stata al centro di un caso analogo di forzata requisizione territoriale in un’area tribale e di fatto “mandante” dei sanguinosi scontri che ne erano seguiti.
E anche qui: dalle campagne di Singur I disordini dilagano presto con violenza anche nella città di Calcutta. Lo show room di TATA Steel viene preso d’assalto e devastato. Numerosi gli episodi di disturbo.

Per dare massima visibilità alla protesta la leader del Partito Trinamul Mamta Banerjee comincia un lungo sciopero della fame dichiarando di essere disposta a morire ma non di arrendersi all’illegalità di questa occupazione attuata con il ricorso ad un editto coloniale, quello stesso Land Acquisition Act che gli inglesi avevano imposto all’India del 1894 – e che vale tuttora, tuttora viene impugnato per “risolvere” qualsiasi controversia territoriale. Con la differenza che gli inglesi lo limitavano solo a casi di public interest (opere pubbliche, viarie, ferrovie ecc); ma per l’odierna Shining India il public interest significa industrializzazione tout court cioè massimi incentivi per chiunque voglia investire, conglomerati (o Grandi Famiglie di) industriali o multinazionali, welcome all.

“È una Guerra che lo stato ha dichiarato ai contadini dal 25 settembre” dichiarano i leaders della protesta contadina in più occasioni, reiterando il principio che lo sviluppo industriale non può essere in conflitto con lo sviluppo (tra l’altro ancor così carente) dell’agricoltura; e richiamando di nuovo l’attenzione sui numerosi terreni non coltivati che potrebbero ugualmente corrispondere (ma con minor danni) alle necessità delle industrie TATA.
In solidarietà con i contadini di Singur si rivedono per più giorni successivi l’attivista Medha Patkar oltre alle scrittrici Mahasveta Devi e Arundhati Roy che il 10 dicembre guida un corteo di protesta a New Delhi contro la sede del PCI-M. Coinvolti anche l’economista John Dreze, lo storico Sumit Sarkar e una folta schiera di artisti e intellettuali, che scrivono, organizzano convegni, diramano petizioni e appelli: tenendo vivo nei giorni e nelle settimane successive il dibattito che seguirà sempre più acceso sui media.

4.
Circa la natura speculativa di questa acquisizione, eccessiva per un singolo impianto ma assai promettente per lo sviluppo edilizio e per il volano di indotto e di consumi che del resto risulta già previsto nella stessa fase di planning, vengono avanzate argomentatissime critiche. TATA si dichiara però indisponibile a negoziare.
Nel ruolo che si immaginerebbe di mediatore e che invece è di Agente delle industrie TATA risulta il Partito Comunista del West Bengala, nella persona del suo leader Bhuddhadeb Bhattacharjee, da mesi lodatissimo dalla stampa economica indiana (e sempre più anche da quella occidentale) come ‘new face’ del fronte di sinistra, con chiare inclinazioni neo-liberiste. Benchè solidale in tanti altri recenti casi di sfollamento ambientale B. Bhattacharjee si è fatto garante con le Industrie TATA circa il buon fine del progetto, in vista degli ulteriori investimenti industriali di cui il West Bengala avrebbe “prevalente bisogno, dopo la raggiunta autonomia alimentare”.

5.
Metà / fine dicembre 2006: la situazione si aggrava. Il contenzioso raggiunge un particolare climax di gravità con il rinvenimento (18 Dicembre 2006) del corpo carbonizzato di Tapasi Malik, una giovane attivista del Comitato per la Difesa della Terra (Krishjami Raksha Committee).
Nella versione che fin da subito viene fatta circolare sulla web, e più ancora dalle raccapriccianti foto che la accompagnano, si parla di violenza carnale e di gruppo, e di kerosene gettato sul corpo della vittima poi ridotta in falò.

La violenza viene subito letta come un’azione intimidatoria e attribuita a un drappello al soldo delle industrie TATA in combutta con le forze dell’ordine. Versione smentita dalle autorità del Bengala – e recentemente confermata dalle indagini che sono state condotte nei mesi successive al fatto. Il caso resta tuttora all’esame dell’Alta Corte di Calcutta. Il clima di tensione continua con scaramucce e arresti nei giorni seguenti – fino a che (fine dicembre 2006) Mamta Banerjee è costretta ad interrompere lo sciopero della fame che sta portando avanti ad oltranza da 24 giorni e viene ricoverata in ospedale.

Fa un certo rumore alla fine dell’anno un’Intervista esclusiva rilasciata da Ratan TATA al canale NDTV, Presidente delle Industrie TATA. Dal piccolo schermo egli si dichiara certo che “ad infuocare gli animi di Singur ci sia lo zampino della concorrenza”. Non immediate, ma molto energiche, le reazioni del più sicuro concorrente-TATA, ovvero Maruti Udyog: il cui Managing Director, Jagdish Kattar, vorrebbe immediati chiarimenti. Da quel momento in poi il caso TATA-Singur assume un quid di ulteriore conflittualità: come “contesa” tra concorrenti nello stesso comparto produttivo.

6.
Prima metà di gennaio 2007: il Centre for Science and Environment ha appena inviato un’interrogazione al Governo di Delhi circa la dubbia qualità ambientale del progetto “low cost car” e connesso volano consumistico a Singur (considerato il crescente e già allarmante inquinamento delle città indiane e la necessità semmai di investire in trasporti pubblici) che nuovi disordini scoppiano violentissimi in un’altra area del West Bengala, a Midnapore: dove ben 22.000 acri di terreno sono stati promessi alla SALIM Industry (Indonesia) per un vasto insediamento petrolchimico a Nandigram.

La violenza raggiunge l’apice nella notte tra il 6 e il 7 gennaio con scontri tra non meglio identificate “squadre paramilitari” e “avanposti” del fronte contadino che a turno fanno la guardia ai terreni : bilancio 11 morti durante la “notte del terrore” in cui l’intera regione viene messa a ferro e fuoco senza alcun intervento da parte delle forze dell’Ordine.

8 gennaio: tutto il West Bengala è in stato di “bandth” (sciopero generale). Calcutta deserta, pochissimi I veicoli autorizzati a viaggiare nell’intera regione, trasporti bloccati, ben 1500 in stato di arresto. Altra manifestazione studentesca il 9 gennaio – e 4 bombe che vengono fatte esplodere entro le terre già perimetrate da TATA a Singur.

Sulla stampa Buddhadeb Bhattacharjee prova a far passare la versione che si è trattato di scontri “intercomunitari”, con il risultato di provocare l’indignata reazione dei rappresentanti delle comunità islamiche (e un avvicinamento delle loro frange più estremiste con il fronte naxalita, più che mai in auge man mano che la crisi continua).
Bhattacharjee esprimerà rammarico per i fatti di Nandigram – ma NON l’intenzione di trattare sugli impianti automobilistici promessi a TATA in quel di Singur. I cui lavori sono già molto in ritardo e annunciati come imminenti. Nel tentare di raggiungere l’area l’attivista Medha Patkar viene di nuovo arrestata per la terza volta.
12 gennaio: il Governo del West Bengala rende noto un documento di 372 pagine contenente i nomi dei 15.000 contadini che avrebbero acconsentito a vendere I loro terreni. A parte il fatto che l’elenco riguarda solo 464 acri sul totale di 997 acri in contenzioso (e cioè NON rappresenta la totalità delle requisizioni già effettuate) Mamta Banerjee obietta che molti dei nomi risultano ripetuti più volte – e molti dei nominati denunciano le condizioni ‘coatte’, sotto minaccia, del loro consenso.

17 gennaio: molto rilievo viene dato all’iniziativa di un tour offerto ad alcuni rappresentanti dei villaggi espropriati nel quartier generale TATA a Jamshedpur, nel vicino stato del Jharkhand (ed ex sud Bihar). L’obiettivo è mostrare loro la superiore qualità di vita raggiunta in 100 anni di amministrazione “privata” del territorio.

21 gennaio: nonostante la controversia sia più che mai aperta, nonostante il contratto di leasing con le autorità del West Bengala non risulti ancora neppure firmato, TATA decide che il progetto “low cost car” non può attendere e passa ai fatti. All’interno dell’area contestata si celebra il “bhomi pooja”, rituale (molto importante per l’India) che esprime voti di buon auspicio per una certa impresa che sta per partire, Con ciò viene così sancita la proprietà TATA sui terreni e l’inizio della effettiva (non più solo picchettata) recinzione in muratura. In un clima di apparente calma I lavori procedono con rapidità e gran dispiego di forza pubblica.

25 gennaio: viene diffusa la notizia del crescendo di entusiasmo da parte di alcuni ex-contadini di Singur per il Progetto TATA. Sarebbero già 250 (o forse addirittura 700) I “volontari” arruolati – benchè su un totale di 22.000 residenti non sia gran cosa…
Il partito della dissidenza non si da però per vinto: il 26 gennaio un corteo di donne viene bloccato mentre cerca di dare fuoco a un tratto dell’odiata recinzione.
Ma di nuovo il 27 e 28 gennaio lo scontro riprende più furioso che mai: dimostrazioni a scacchiera, arresti di militanti naxaliti, mentre il Trinamool Congress Party ricorre al RTI (Right To Information Act, una legge di recente introduzione e di grande importanza per la vita pubblica indiana) denunciando la non trasparenza dell’accordo siglato dal Governo Bengalese con TATA. Alla fine dell’ennesimo week end di fuoco il bilancio è di 40 feriti (tra cui 11 poliziotti) e 1000 fermi di polizia.

29 gennaio: in favore dei TATA e del PC del Bengala sfila una contro-manifestazione. Nello stesso giorno in cui a Delhi Sonia Ganghi ricorda il Mahatma Gandhi alla presenza dei Capi di Stato di un buon numero di nazioni (compreso il Ministro Francesco Rutelli, in rappresentanza del Governo Italiano) auspicando una “più equa crescita per tutti” Mamta Banerjee dichiara il suo ultimatum al Governo dell’India: se entro il 10 Febbraio TATA non recederà dai suoi piani nelle aree agricole del Singur, nè lei nè il suo partito sarà in grado di garantire circa le conseguenze che potranno derivare in termini di ordine pubblico.

30/31 gennaio: l’ultimatum viene ignorato dalle autorità bengalesi. Anche perchè nel frattempo Ratan TATA è diventato il super-eroe di shining India per l’avvenuta acquisizione dell’acciaieria anglo-olandese Corus – operazione pesantemente ‘punita’ dal mercato con un calo del titolo del 10%, motivato (secondo le prime analisi) dall’eccessiva esposizione finanziaria richiesta, in condizioni di mercato assai fluttuanti per l’acciaio.
Sfruttando il momento favorevole sulla stampa il Governo Comunista del West Bengala ribadisce: quello stabilimento sarà in grado di creare non meno di 12.000 posti di lavoro.

7.
Mentre I lavori di recinzione continuano intorno agli ex campi agricoli di Singur (ma sempre sotto il presidio della polizia) il 1 febbraio si registrano scontri anche a Kharagpur: altri 1280 acri di terreno di nuovo promessi a TATA questa volta nel settore delle scavatrici. (TELCON). Marcia di contadini, lettera di protesta consegnata alle autorità, medesimo copione tentato invano mesi prima (a maggio) per Singur.

Il giorno dopo, 2 febbraio, la stampa indiana dà risalto alle conclusioni emerse da una Fact-Finding mission formata da una rosa di rispettati opinionisti e intellettuali: gli scontri e i gravi fatti verificatisi a Singur e poi a Nandigram sono da imputare al fatto che gli abitanti delle aree interessati NON SONO stati plenariamente consultati: non è stato considerato il loro individuale dissenso, nè quello espresso dalle loro tradizionali rappresentanze (panchayats, gram sahads, considerati i pilastri della ‘democrazia’ indiana). Da più parte vengono ribadite le ragioni di scetticismo circa questa industrial option che non sembra affatto garantire un soddisfacente assorbimento della popolazione; e circa la pochezza di quelle indennità così inadatte a compensare la sicurezza dalla terra.

Il 3/4 febbraio marca l’ennesimo week end di fuoco a Singur: marce, lacrimogeni, manganellate, 200 arresti, 40 feriti. Ciò non impedisce che nell’altra area contestata (a Nandigram) il Rally della coraggiosa Mamta Banerjee venga seguito da non meno di 300.000 persone. “Finchè mi rimarrà una goccia di sangue, mi opporrò a questa requisizioni” ripete lei ai microfoni.

5/6 febbraio: l’amministrazione Bengalese si dice disposta a trattare sul progetto delle industrie indonesiane SALIM a Nandigram – ma non su quello di Singur.
Mentre la guerriglia continua, viene imposto il ‘prohibitory order’ (divieto di riunione) fino alla notte del 14 Feb, data in cui dovrebbe tenersi un comizio di Bhuddadheb Bhattacharjee. Ennesima dichiarazioni di Ratan TATA: il progetto è una grande occasione di crescita, la small car uscirà nei tempi previsti, chi causa i disordini è contro lo sviluppo che TATA può rappresentare per la regione. Lo dimostra regalando alla città di Kolkata un ospedale specializzato per la cura del cancro,.
7 febbraio: di nuovo gli scontri continuano sia a Singur (dove I dimostranti riescono ad abbattere la recinzione dei campi in parecchi punti) che a Nandigram.
Muore un poliziotto, travestito da contadino – molto probabilmente linciato dalla folla. Nonostante la spirale di violenza abbia raggiunto un simile climax (come pre-avvisato giorni prima da Mamta Banerjee) l’amministrazione bengalese conferma il disegno di massiccia industrializzazione: “Se torniamo indietro adesso non potremo recuperare poi…”
E dichiara anche: “Il nostro vessillo non può certo ignorare le ragioni della falce, ma è giusto dare priorità ora al martello”. Gli fa eco l’ennesima Joint Vent TATA con la brasiliana Marco Polo per la produzione di Autobus da turismo: l’impianto sarà tra I più grandi del mondo.

8 febbraio: TATA dà ampio risalto alle micro-economie che già proliferano lungo quel contestato muro di cinta (donnine che distribuscono il chapatti con il dahl, bambini che distribuiscono il chai ecc.) mentre il Chief Minister Bhattacharjee si dice disposto a negoziare e invia una lettera al leader dell’opposizione auspicando una “soluzione pacifica e razionale”. Risposta “Un dialogo sarà possibile solo quando le terre contestate verranno restituite e annullato ogni piano di industrializzazione ai danni del settore agricolo.” La situazione permane tesissima su tutti I fronti.

9 febbraio: si registra il rinvenimento di altri due corpi cadaveri, un ingegnere e il suo autista, la cui sparizione era stata denunciata giorni prima – non si sa se legati oppure no al progetto TATA. Tutte le vie di accesso verso Singur sono di nuovo sotto controllo della forza pubblica, in vista della marcia indetta (giorni prima, oggetto del famoso Ultimatum) dal Trinamool Party.
Considerata la gravitå della situazione, Brinda Karat (Segretario Generale del PCI-M, e donna di grande appeal mediatico in India) annuncia la sospensione di tutte le SEZ (Special Economic Zones) in West Bengal, con particolare riferimento a Nandigram – ma fatta eccezione per quella assegnata ai TATA a Singur. Ma per la prima volta dall’inizio della vicenda si ammette che non tutti gli agricoltori inizialmente elencati come “consenzienti” hanno accettato le indennità.

8.
Sta per partire la Missione-Prodi in India (10 – 15 febbraio) e nonostante il programma individui nella Regione del West Bengala l’area privilegiata di interesse e investimento, la “grande” stampa italiana (esclusi quindi un paio di Articoli su Il Manifesto e qualche altro sito) non ha ancora dedicato a questa vicenda NEPPURE UNA RIGA - benchè durante la Conferenza Stampa di annuncio della Missione stessa (il 9 febbraio a Montecitorio) le uniche domande posta al terzetto Prodi-Bonino-Montezemolo (domande poste dalla sottoscritta e dal collega Peter Popham, Corrispondente per The Independent) riguardino proprio il “conflitto ambientale a Singur e “l’imbarazzo che esso potrebbe provocare all’immagine dell’Italia, oltretutto nell’anno dell’Italia in India…” Il Ministro del Commercio Emma Bonino (che per preparare la Missione medesima ha trascorso parecchi giorni in India nelle settimane precedenti) sembra perfettamente al corrente della situazione, limitandosi ad annuire con il capo; Romano Prodi raccoglie le carte e ignora la domanda; e risponde per tutti Luca Cordero di Montezemolo : “TATA è la Prima Industria Indiana, avremo modo di discuterne quando saremo a Kolkata”. L’affollata Missione (oltre 400 business-men) parte e pochi giorni dopo torna, senza alcuna notizia, da parte dei giornalisti al seguito, circa lo scontro sociale in corso da mesi nella regione principalmente target della Missione stessa.

Verso metà Febbraio il “Bhudda Rosso” tiene il suo primo comizio “pacifico” da mesi, mentre un grosso punto a favore dell’opposizione è il verdetto della Corte Suprema di Calcutta che revoca il “divieto di riunione”. Mamta Banerjee ne aprofitta per indire una seguitissima manifestazione il 17 febbraio. E di nuovo qualche giorno dopo reitera che TATA se ne dovrà andare da quelle terre: “Per loro sarebbe così facile, sono così immensamente ricchi… Non così chi di quelle terra viveva, nella maggioranza dei casi senza neppure possederla.” Il costo sociale di queste requisizioni è infatti particolermente insostenibile per i bargadars (lavoranti a mezzadria) che privi di titoli di proprietà non potranno reclamare alcuna indennità.

Dello stesso avviso sembra anche l’Alta Corte di Calcutta, che il 26 febbraio mette clamororamente in dubbio l’illegalità di tali requisizioni e chiede al Governo del West Bengala di comprovare (entro metà marzo) che tutti I contadini hanno volontariamente sottoscritto il proprio sfratto. Ma di nuovo (25-26 febbraio) scoppiano violenti scontri con tentative di sfondamento in più punti della recinzione.

Bhattacharjee reitera la disponibilità a riconsiderare dimensioni e modalità di molte SEZ in programma, ma di non quella di recedere su questa di Singur in favore di TATA Motors “per gli impegni già presi con gli investitori stranieri…” Allude forse anche alla Delegazione Prodi? A quella data l’Italia appare in effetti come la nazione “apripista” sul fronte degli investimenti diretti in Bengala occidentale.

La situazione precipita di nuovo, e con inaudita violenza, nella prima metà di marzo: 14 morti a Nandigram sull’area che era stata destinata al gigante indonesiamo della petrolchimica Salim. Decine di feriti, stupri e violenze denunciati anche da molti tra le forze dell’ordine – e parecchi tentativi di sabotaggio lungo il muro di cinta della TATA Motors a Singur. Il cui Amministratore Delegato Ravi Kant di nuovo reitera il 30 marzo: “Non dobbiamo rendere conto a nessuno…”
Questa memoria si ferma qui (aggiornamento in corso…). Ma lo scontro sociale e il dibattito politico sui fatti e nella regione qui descritti non si conclude con gli episodi di sangue di marzo a Nandigram: un ennesimo suicidio (impiccagione) da parte di un ex contadino disperato si è verificato proprio i primi di settembre, nel mese in cui prima della “low cost car” i campi di Singur erano verdissimi e maturi per i raccolti. E insomma il caso TATA-Singur non può considerarsi chiuso: continua nell’emergenza dei tanti casi umani nonchè (in termini troppo complessi per essere qui riassunti) sul fronte legale.

Il progetto “low cost car” è in ogni caso proseguito: il prototipo è stato annunciato come la “novità” del Motor Show di New Delhi il prossimo gennaio.
Molte altre industrie dell’indotto hanno annunciato di volersi insediare nelle stesse aree di Singur. Il progetto industriale di “Red Bhudda” Bhattacharjee può dirsi quindi riuscito…

LA POSIZIONE DELLA FIAT

FIAT sigla un primo accordo di collaborazione con TATA verso la metà del gennaio 2006, a seguito di numerosi incontri che cominciano (a quanto è dato ricostruire) con la visita del Presidente Ciampi & Confindustria in India del Febbraio 2005. L’accordo viene definito fin da subito strategico, inizialmente limitato alla reciproca valorizzazione del prodotto-auto nei rispettivi mercati, e via via concretizzato con l’utilizzo a pieno regime degli impianti FIAT nei pressi di Pune (che rappresentavano un capitolo di grave e continua perdita in un mercato peraltro in vivacissima espansione).

Risale alla metà di dicembre 2006 (si noti: negli stessi giorni in cui si le cronache registrano il macabro ritrovamento del corpo stuprato e carbonizzato di Tapasi Malik) l’annuncio di un ulteriore investimento per la produzione della Grande Punto (100.000 unità) e di 200.000 motori a cambio, nonchè della co-produzione della famosa suddetta “LOW COST car” (anche detta “people’s car”). Vengono annunciati nella stessa data anche interventi su mercati terzi: Sudafrica, Latinamerica e Cina. E verso la fine del mese di Febbraio 2007 (ovvero in noncurante contemporaneità con i fatti sopra riportati) vengono ratificati anche gli accordi relativi ai vari interventi congiunti (progetto pick up) in America Latina. Andrebbe capito se e da quando e in quali quantità FIAT ha cominciato ad approvigionarsi dell’acciaio TATA – poichè circa la sostenibilità ambientale non tanto della lavorazione (nel complesso siderurgico TATA Steel di Jamshedpure) ma delle condizioni nel lavoro di estrazione del metallo di ferro e carbone nelle zone minerarie del Jharkhand, andrebbero sollevate serissime obiezioni.

Circa il progetto “low cost car”: TATA ne parla da almeno 3 anni prima di insediarsi a Singur e fin da subito I pubblicitari la descrivono come la ‘dream-car’ dell’indiano qualunque, il passo subito dopo alla motoretta – quella che fu la nostra Topolino (ma con proiezioni di mercato ben più colossali) in un segmento su cui in effetti stanno puntando tutti i big dell’auto, soprattutto in Asia.
Con il matrimonio con FIAT il dream diventà realtà: TATA Motors fa parte di una conglomerata che è nata con l’acciaio (e questo conta molto anche per la Fiat, come non mancano di sottolineare fin dalle prime i vari reports finanziari che forniranno il drive della rimonta del titolo FIAT sul mercato azionario) ma può considerarsi una ‘new player’ nel settore auto, e soprattutto nel segmento “small size” non ha alcuna esperienza (che invece fa parte, come tutti scrivono, “del DNA della Fiat”).

È comunque intorno alla metà di Novembre che soprattutto la stampa economica indiana riprende con certezza la notizia di una diretta partecipazione FIAT sul progetto low-cost: per la fornitura del motore e per l’apparato di trasmissione dei comandi. Ma con i primi scontri di Singur, di FIAT non si parla più.

Se ne riparla solo dal 24 gennaio in poi, ovvero dopo la presa “di possesso” delle ex-terre agricole ufficializzata dalla pooja ben-augurale. L’annuncio, durante una “Conferenza Stampa” dal quartier generale TATA a Mumbai (evidentemente contando sul fatto che l’incidente può ritenersi chiuso) viene diplomaticamente dato nei termini di gradito contributo. “FIAT si è offerta di collaborare al progetto ‘1 lack car’ (auto da 100.000 rupie) e abbiamo accettato l’offerta” è la dichiarazione del Managing Director di TATA Motors, Ravi Kant (cfr The Hindu, 23 Jan 2007) che rassicura gli analisti del settore e al tempo stesso “allevia” il ruolo del partner nella vicenda. La notizia viene comunque ripresa con il rilievo che merita su tutta la stampa, soprattutto italiana, in coincidenza con l’entusiastica pubblicizzazione degli obiettivi raggiunti, e delle quote di mercato riconquistate. Ma senza alcuna menzione circa l’ingestibilità nell’area di Singur.

Tra metà/fine gennaio e I primi/metà di febbraio la stampa italiana è letteralmente inondata dalle notizie circa il sorprendente recupero Fiat che via via confluiscono nel battage non meno corale circa la missione Prodi/Confindustria in India. È un vero e proprio crescendo di entusiasmi che individua nel matrimonio TATA-Fiat il traino di un volano destinato ad andare (come si vedrà poi in seguito) ben oltre il settore dell’auto.

È in questo quadro di grave, ampiamente pre-vedibile ma sempre più ingestibile turbolenza che anche sulla stampa indiana il 17 febbraio (Zee News) la partecipazione FIAT nel ruolo di partner 50-50 del progetto “low cost car” by TATA viene di nuovo resa nota con chiarezza. E ripresa da varie testate sia indiane che inglesi. In particolare da un ampio articolo su The Independent, che TATA Motors minaccia di perseguire legalmente.
Si verrà poi a scoprire che, oltre che della FIAT, e di una quantità di prestigiose istituzioni internazionali, Ratan TATA fa parte del Consiglio di Amministrazione anche lì.

(Memoria a cura di Daniela Bezzi)

Che cosa ci hanno detto...

CHE COSA CI HANNO FATTO SAPERE DELL'INDIA...
(... negli stessi giorni in cui l'India si divideva sui tumulti di Singur?)

Corriere della Sera, 18.1.2007 - “India, le famiglie scoprono il capitalismo d’assalto – La lezione di Mahindra, Tata, Ambani, Bharti, Mittal”. L'articolo così attacca “Il bagno nel Karma Capitalism sarà un’esperienza nuova. Quando arriveranno in India a febbraio la delegazione guidata da Romano Prodi e quella della Confindustria guidata da Luca di Montezemolo, troveranno un Paese sempre più sicuro di se stesso…” e infine chiude “Troveranno duinque un mondo degli affari in eccitazione, Prodi, Montezemolo e gli industriali italiani nel Grand Tour dell’India 2007. Ma anche un po’ di filosofia, buona per mettere le cose con i piedi per terra…”

La Stampa, 25.1.2007 - “Fiat torna protagonista nel nome dell’Avvocato” e in un pezzo di spalla “Motori e Cambi per la Tata Low cost”
‘Stavolta il Lingotto aiuterà la Tata a produrre un’auto low cost pensata per il subcontinente (…) sarebbe impreciso dire che la Fiat si mette a produrre auto low cost… quel che è certo, per adesso è che il Lingotto provvederà al sistema di trasmissione e ai motori… Per il Gruppo Fiat questo ulteriore progetto è solo un altro tassello di un vasto mosaico indiano.”

La Repubblica, 25.1.2007 - “Fiat, progetto low-cost con Tata auto da 2200 dollari per l’Asia – Il gruppo indiano vuole portarla sul mercato nel 2008. Oggi I conti del Lingotto, vola l’utile nel settore delle macchine agricole”. Nel testo: ‘La nuova mini auto, frutto della collaborazione Torino/Bombay, punta a trasformare in automobilisti una parte dei 45 milioni di motociclisti e scooteristi che percorrono ogni giorno le strade dell’India. Design e progetto sono pronti per un’auto a quattro o cinque posti, motore posteriore di 30 cavalli e sistemi di trasmissione e tecnologie motoristiche di provenienza Fiat.”

Il Corriere della Sera, 7.2.2007 - intervista a Ratan Tata su tutta pagina: “Tata: Fiat? Un alleato strategico. Partiamo con l’auto ‘low cost’ – E sul capitalismo spirituale: ‘La ricchezza va restituita al popolo’ “ dove vale la pena citare le battute finali ‘Nella nostra famiglia abbiamo sempre creduto che la ricchezza prodotta andasse restituita al popolo… Il 65% di Tata Sons è posseduto da fondi filantropici e quindi anche il 65% dei dividendi va in donazioni, 45 milioni di dollari l’anno scorso… Agli azionisti del gruppo che obiettano che il denaro dovrebbe essere degli azioniosti, rispondo che questo è un modo per diminuire la pressione sociale delle aziende. C’è insomma anche un plus nell’agire così…”

Dalla Cartella Stampa nell’imminenza della Missione Prodi in India, 8.2.2007 - “Dopo Cina, Brasile e Turchia per l’Azienda Italia scocca l’ora dell’India … a distanza di due anni dalla missione economica-diplomatica guidata da Carlo Azeglio Ciampi, il sistema-imprese torna a fare tappa sul mercato indiano con una mega-missione guidata dal Presidente del Consiglio Romano Prodi a capo di una delegazione di 450 imprenditori… Le autorità italiane sanno bene però che la finestra di opportunità di questo mercato non durerà troppo a lungo e gli spazi disponibili di oggi saranno occupati nel giro di qualche anno…”

“Basti pensare, a puro titolo di esempio, alle oltre 300 Zone Economiche Speciali (SEZ) approvate dal Governo in diverse regioni del Paese al fine di promuovere nuovi distretti industriali (le imprese che decidono di installarsi in queste aree godono di una totale detassazione per i primi 5 anni e di una fiscalità ridotta del 50% nei cinque anni successivi) per comprendere il potenziale dell’India, soprattutto in considerazione di questo, il valore del progetto low cost car che Fiat e Tata stanno concependo ecc ecc…”

Il Manifesto, 10.2.2007 - “Passaggio in India a Caccia di Affari” e in un Box “Aspettando Fiat, duri scontri e sei morti per la fabbrica della Tata”

Il Sole 24 Ore, 11.2.2007 – Prodi: “In Asia si decide anche il nostro futuro – Le banche devono guidare le aziende all’estero, non arrivare dopo” e in un articolo di spalla “West Bengal, obiettivo distretti” dove si dice ‘Gli Indiani stanno per decidere una serie di agevolazioni fiscali per favorire gli investimenti e pochi mesi fa la Simest ha firmato un’intesa con la West Bengal Industrial development corporation per agevolare gli arrivi delle imprese italiane. ‘La struttura imprenditoriale del West Bengal è molto simile alla nostra’ ha spiegato Morandini (Pmi) e si segnala anche un forte interesse per l’edilizia. ‘Ci sono lotti da 4 mila appartamenti ognuno, cantieri di grandi dimensioni e gli italiani – conclude il Presidente di Pmi – hanno molte possibilità per competere”.
In un terzo articolo di spalla ‘L’India è come la Cina di 45 anni fa’ dichiara Andrea Tomar, presidente di Unindustria di Treviso.

La Repubblica, 15.2.2007 - “Azienda Italia, undici accordi in India – Si chiude la missione in Asia. Prodi: investire qui non è delocalizzare”
E nel testo “Lo voglio dire apertamente – ha insistito Prodi – sono lieto che gli imprenditori italiani stiano investendo qui in India. Non è delocalizzare, è cogliere opportunità in un mercato emergente…’ Obiettivo: 10 miliardi di interscambio, contro l’attuale livello inferiore alla metà, già dal 2007… Il Rockfeller indiano si chiama Ratan Tata, settantenne presidente del gruppo omonimo che fattura 17 miliardi di Euro…”

Corriere della Sera, 15.2.2007 - “Italia grande quando accetta le sfide – Prodi nel cuore dell’hi-tech dell’india. Bonino: triplicare l’interscambio” e in un secondo pezzo “Calcutta, la capitale dei diseredati oggi investe su auto e computer” nel quale si ammette però anche che ‘Oltre tre milioni di poveri vivono nelle 3000 bidonvilles…’ ma che ‘il boom degli ultimi anni ha ridotto il tasso di povertà dal 42 al 23%...”

Corriere della Sera, 15.2.2007 - “Prodi: la missione in India, una svolta per l’Italia, Da Eni a Fiat fino a Piaggio e Unicredit, 11 accordi tra I maggioro gruppi dei due Paesi”

La Stampa, 15.2.2007 - “Il sistema Italia conquista l’India – Ieri firmate undici partnership industriali. Prodi: ‘Ma non è delocalizzare’ “ e in un Box , in merito alla multa Consob all’Ifil l’aperto plauso di Ratan Tata a ‘La Famiglia Agnelli: nel 2005 ha avuto un grande coraggio’.

La Stampa, 16.2.2007 – “‘L’India venga da noi. Montezemolo: con Tata intese in tutto il mondo ma solo industruali” dove a parte tutto il resto Montezemolo dice “Io ritengo che il primo progetto concreto possa riguardare il turismo; ne ho già parlato con Ratan Tata e gli ho suggerito di valutare l’idea di realizzare un grande albergo di lusso in Sicilia… Una struttura importante in grado di attirare la grande clientela internazionale…”

La Repubblica, 16.2.2007 - “Tata: ‘La New India cerca affari e per l’Italia c’e grande spazio” e nel testo… “E’ sempre Tata a darne una prova, con il progetto che fa tremare l’industria automobilistica mondiale. Grazie al via libera (!) del governatore comunista del Bengala occidentale – che ha tenuto duro (!) di fronte a sanguinose proteste contadine – Tata sta ultimando vicino a Calcutta la fabbrica dell’utilitaria ecc ecc che grazie all’allenza con la Fiat potrebbe penetrare un giorno anche in America Latina distribuita dalla rete vendita di Marchionne”

… e cosa la stampa Indiana ha scritto
(sul coivolgimento Fiat nella low cost car…)

Tata e Fiat: Piccolo diventa Grande in India (da Business Week, 24.1.2007)

“I due produttori di auto, sulla base dell’ampia alleanza già avviata, collaboreranno sul progetto di una compact car da $ 2.200 entro il 2008 oltre che sul pick up per il mercato Argentino (…) nel quadro della complessa alleanza stipulata l’anno scorso … che impegna entrambi a investimenti per oltre 887 milioni di dollari nell’arco dei prossimi tre anni per la co-produzione di auto, motori e trasmissioni nella fabbrica che Fiat già possiede a Ranjangaon nella zona occidentale del Maharashtra. Ed ora questa relazione si estende anche alla produzione di questa compatta ‘ultra-low cost’ che rappresenta un’indubbia sfida sul piano tecnico per Tata, ma che Fiat contribuirà a facilitare… L’intervento della Fiat a questo punto sarà significativo in termini di perfezionamento del progetto. (…) Tata ha cominciato la costruzione degli stabilimenti per la small-car da 2.200 $ in data 21 gennaio a Singur, nello stato indiano del Bengala occidentale (…) con una produzione iniziale di ca 250.000 pezzi all’anno destinati sia al mercato locale che per l’export su mercati terzi…”

L’Italiana Fiat e Tata Motors sempre più Joint in Venture (Reuters 14.2.2007)

“Tata Motors (3zo produttore di auto indiano) e Fiat si sono accordati per la produzione di 100.000 auto e 200.000 motori e trasmissioni in India dal 2008 in poi, per investimenti che ammontano a più di $ 877 milioni … Fiat sta anche cooperando con Tata Motors per la produzione della ‘small car’ da tempo promessa dalla Casa indiana, che dovrebbe venir lanciata nel 2008… ‘E' la loro macchina, il loro progetto… il nostro intervento si limiterà ad una consulenza sull’ingegneria e per lo sviluppo del modello’ ha dichiarato alla stampa Alfredo Altavilla, dirigente senior del gruppo Fiat...”

Fiat affiancherà Tata Motors per l’auto da 100.000 Rupie (Times of India, 16.2.2007)

“Con la sicurezza del gigante automobilistico italiano che ha accettato di affiancarsi ai Tata per la produzione della ‘1 lakh car’ il solo problema che al momento potrebbe complicare il lancio di questo ambizioso progetto sembra essere la controversia in corso nell’area scelta per la produzione, a Singur… ‘Fiat ha mostrato notevole interesse in questo modello di auto poichè lo ritiene adatto a numerosi mercati del mondo, soprattutto quelli in cui è già presente in America Latina… Potremmo varare un accordo anche di Joint Marketing ma il primo interesse è di soddisfare la domanda del mercato Indiano’ ha dichiarato Tata. (…) Il Presidente della Fiat Luca Cordero di Montezemolo ha confermato che Fiat assisterà la Tata Motors nella produzione della low cost car.”

Che cos'è una SEZ?

SEZ in India Shining:
Special Economic (oppure Emergency) Zone?

Per SEZ si intende un’area “delineata” di territorio che gode di determinati privilegi:

- L’investitore (definito “SEZ developer”) gode di esenzioni fiscali per un arco di tempo che varia dai 10 ai 15 anni, secondo la tipologia dell’investimento.
- Al pari di un territorio “estero” ogni SEZ è zona franca doganale per ogni tipo di transazione commerciale;
- Esenzioni fiscali più significative: sui profitti, sulle vendite e sui servizi;
- Massima libertà di sub-appalto (nella gestione dei servizi e quindi del lavoro
- Esenzione da controlli doganali sulle procedure di “export/import cargo”.

Esenzioni specifiche, caso per caso:
- massima discrezionalità a livello legislativo (ogni regione ha facoltà di prescindere dalla legislazione approvata a livello centrale);
- ampia libertà anche nella “valutazione” circa l’impatto ambientale dell’investimento;
- facoltà di bypassare le commissioni statali che regolano l’erogazione di energia;
- nessun bisogno di licenza per le importazioni.

Dalle “origini” ai giorni nostri:
- I primi “industrial parks” vengono sperimentati a Puerto Rco nel 1947. Irlanda e Taiwan seguono l’esempio negli anni ’60. Ma é solo nella Cina degli anni ’80 che il modello viene adottato in modo massiccio, programmato ed estensivo. Ed é quell’esperienza e quei risultati che l’India vorrebbe ora emulare, con quasi 30 anni di ritardo: in modi altrettanto massicci ed estensivi, ma non altrettanto regolati a livello centrale ed anzi promuovendo la competizione tra aree e regioni diverse;
- In India la “storia” inizia in effetti con la EPT (Export Processing Zone) di Kandla, Gujarath (1965) seguita da altre considerate però non tanto efficaci. Nel 2000, una nuova politica di promozione delle procedure import/export nel più ampio trend di conversione da settore pubblico a privato, dichiare SEZ tutte le EPT esistenti, Una legge apposta (SEZ Act) viene formulata nel 2005.

In programma e in prospettiva:
- sono 237 le SEZ già approvate per una prevista estensione territoriale di 34.861 ettari. Altre 63 sono in lista di attesa. Vox populi denuncia però la tangentopoli e totale “deregulation” che conferisce statuto (e facilitazioni) di SEZ ai più diversi investimenti e imprese private. Non meno di 165 progetti sono in stand by in considerazione delle acquisizioni territoriali richieste;
- Investimenti previsti: 250.000 crores di Rupie (50 miliardi di Euro ca)
- Riflessi sull’occupazione: circa 3 milioni di posti di lavoro, molto pochi su rispetto ad un bacino di disoccupazione smisurato;
- Fatturato previsto annuale: 300 miliardi di Euro;
- Contributo al Pil: 2% entro il 2010;
- Contributo alle esportazioni: 500 miliardi di dollari entro il 2015.


Problemi sul tappeto:
- l’India si propone (ufficialmente) l’obiettivo di raddoppiare il proprio output agricolo entro il prossimo decennio e ciò sarebbe in contrasto con le indiscriminate requisizioni di terre, non solo incoltivate, molto spesso agricole e produttive;
- delegati al ruolo di agenti/acquirenti, per conto di multinazionali e investitori, sono gli stessi Governi regionali: che avvalendosi del Land Acquisition Act di coloniale memoria (anno di grazia 1894) reclamano diritto di “public purposes” (ovvero di “pubblico interesse”) che trascende la proprietà privata dei terreni;
- sull’interpretazione di tale concetto infuria il dibattito: nell’ottica di una modernizzazione che non ammette più ritardi, il “pubblico interesse” può essere qualsiasi vento che soffia sul fuoco della crescita (o prometta anche senza garantire posti di lavoro): e quindi un IT o Mega Call Center come un Grande Magazzino;
- circa la promessa di posti di lavoro, sono in molti ad osservare che la maggior parte delle SEZ previste sono proprio nel settore IT, o comunque prevedono una tale meccanizzazione da limitare al minimo l’impiego umano, che dovrà essere in ogni caso “qualificato” (ovvero superiore alle capacità” operaie” di popolazioni che sono state per generazioni “contadine”);
- le obiezioni non mancano sul fronte delle esenzioni fiscali e provengono dallo stesso Ministero delle Finanze indiano, che prevede una perdita di 1.00.000 crores nell’arco dei prossimi quattro anni. Contro-obiezione: le entrate saranno ben superiori delle perdite grazie al maggior dinamismo commerciale e volano consumistico che le SEZ potranno senz’altro generare;
- maggior problema: sul fronte delle indennità e degli ammortizzatori sociali. Le dimensioni delle acquisizioni previste NON consentono (come si é visto per il Mega-progetto idroelettrico sul Fiume Narmada) di compensare con nuova terra quella requisita; e le indennità monetarie, anche quando generose, si sono rivelate inadeguate rispetto alla perdita di economie elementari nella loro autosufficienza ma NON replicabili fuori dal contesto in cui sono radicate. E benché nessuno sia in grado di quantificare quanti saranno alla fine gli sfollati, il costo sociale (e politico) di un simile scenario preoccupa non poco l’attuale coalizione di governo;
- di sicuro molte cosiddette SEZ stanno funzionando come maggior fattore di propulsione per il settore edilizio, dal cemento agli arredi; e per quello immobiliare e quindi finanziario. Perché le costruzioni NON si limitano ai soli impianti industriali ma spesso prevedono unità abitative, commerciali e annessi servizi.


(fonti: www.outlookindia.com; www.sezindia.nic.in)